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Breve Storia del Debito Pubblico in Italia – parte 1 – dal 1861 al 2019

Luca Pigliapoco

Premessa – Cos’è e come si misura.

Il debito pubblico è il debito fatto da uno Stato per soddisfare il proprio fabbisogno. Si crea quando le uscite superano le entrate (in questo caso il bilancio statale ha un deficit, che deve essere coperto contraendo un debito di pari importo). Anno dopo anno, la somma dei deficit di bilancio va a comporre il debito pubblico.

Il parametro con cui si misura e si valuta quanto è indebitato uno Stato non è il valore totale del suo debito, ma il rapporto Debito/PIL (il PIL è il Prodotto Interno Lordo, la somma di tutti i beni e servizi prodotti in un anno). Nel 2018 per l’Italia era pari al 132,2% (molto più alto della media degli stati europei, e il secondo più alto dopo quello greco, vedi grafico).

Come si è formato il debito pubblico italiano? Ci sono stati dei momenti in cui il rapporto debito/PIL era pari o superiore all’attuale? Cosa è successo in quei momenti?

La Storia

Dall’Unità d’Italia alla I Guerra Mondiale

Nel 1861 il rapporto debito/PIL era al 40% e crebbe nei due decenni successivi intorno all’80%; la prima vera crisi avvenne in quegli anni, e raggiunse l’apice nel 1897 (117%). Le cause furono soprattutto la crisi economica di quegli anni (la Grande Depressione) e le spese militari connesse alle guerre coloniali. Negli anni successivi (periodo giolittiano) la forte crescita economica, unita al controllo del bilancio, fecero scendere il debito a circa il 71%.

Dalla I Guerra Mondiale al 1939

La seconda crisi è legata alla partecipazione alla prima guerra mondiale; alla fine del conflitto dal 71% il debito salì al 99% (per le spese militari), e nel 1920 arrivò al massimo storico di 160%, per la crisi economica che seguì. Solo la cancellazione quasi totale del debito estero detenuto dagli Stati Uniti, nel 1925, fece cadere il rapporto al 51%.

Negli anni successivi, la grande crisi economica del 1929 fece risalire all’88% il debito nel 1934, per poi diminuire al 79% nel 1939, alla vigilia del secondo conflitto mondiale.

La II Guerra Mondiale

L’entrata dell’Italia in guerra al fianco della Germania determinò un forte aumento del debito, che nel 1943 era pari al 108%.

La fortissima inflazione che si scatenò dopo la caduta del regime fascista, distrusse il potere d’acquisto dei risparmi, e quindi anche dei titoli del debito pubblico, ma fece scendere il debito al 40% del PIL.

Il dopoguerra e il boom economico degli anni ‘60

Nel secondo dopoguerra, durante gli anni della ricostruzione prima, e del boom economico dopo, per effetto della fortissima crescita i conti dello stato si mantennero in ordine, e il nostro debito si mantenne stabile, toccando il minimo nel 1964 al 33% per poi risalire leggermente nel 1968 al 41%.

Gli anni ‘70

Gli anni dal 1968 ai primissimi anni ’80 furono caratterizzati da una fortissima inflazione, che bilanciò gli effetti negativi di una bassa crescita economica, contribuendo a mantenere il debito relativamente basso (nel 1983 risultava essere salito al 71%); un altro fondamentale contributo fu dato dai bassi tassi d’interesse che lo Stato poteva pagare sui titoli (inferiore al tasso d’inflazione), grazie alla politica monetaria americana di quegli anni, in cui i tassi d’interesse erano molto bassi per aiutare la crescita economica. Ma come riuscivamo ad emettere titoli di Stato se i tassi d’interesse reali erano negativi (tassi reali=tassi nominali – inflazione)? In quegli anni non era un problema: la Banca d’Italia si impegna a garantire il successo delle aste dei titoli di Stato, stampando moneta per comprare i titoli che rimanevano invenduti. Naturalmente questo ha avuto delle conseguenze: l’aumento della moneta in circolazione determina la svalutazione della lira rispetto al dollaro americano.

Gli anni ‘80

Nel 1981 cambia la politica monetaria americana (i tassi ufficiali arrivarono quasi al 19%), e la Banca d’Italia, guidata da Ciampi, ritorna indipendente dal Tesoro (ministro all’epoca era Beniamino Andreatta). Anche se quegli anni furono positivi per la crescita economica, i governi dell’epoca non fecero nulla per evitare la crescita del debito.

“In questo periodo deve essere sottolineata la passività delle nostre autorità di politica economica che hanno assistito inerti all’evoluzione della nostra finanza pubblica, forse soddisfatte del fatto che a tassi di interesse reali così elevati fosse comunque possibile il finanziamento del Tesoro. Solo la crisi valutaria del 1991, con la forte svalutazione della lira che ne derivò, avviò una politica di riequilibrio, che al di là degli effetti immediati relativamente modesti, stabilizzò comunque le aspettative degli operatori nazionali ed esteri.”

Così scrive Roberto Artoni, professore di Scienze delle Finanze alla Bocconi di Milano.

La spesa pubblica andò fuori controllo, la spesa per interessi esplose (nel 1982 i tassi erano pari al 25%, l’inflazione al 17% e lo spread rispetto ai titoli di stato tedeschi era pari a 1.175 punti base, una vetta mai più raggiunta nemmeno durante Tangentopoli e la crisi valutaria (769 punti base) o la crisi del debito sovrano del 2011, con Monti che sostituì Berlusconi al governo (574 punti base).

Proprio nell’anno in cui gli azzurri alzano al cielo la Coppa del Mondo a Madrid, Banca d’Italia (Ciampi) mette in guarda i Governi dall’usare l’arma della spesa pubblica con eccessiva disinvoltura, rischiando di creare quel colossale debito che poi si è materializzato e che da quasi quarant’anni ci pende, affilatissimo, sul collo, rubandoci il futuro.

Su spesa pubblica, deficit e debito bisogna correggere la rotta, sottolinea Ciampi:

«La correzione deve affrontare il problema della spesa, modificandone l’angolo di rotta. I progressi nel campo della funzione sociale potranno essere salvaguardati e resi duraturi solo se saranno posti in una vera cornice di giustizia distributiva, di stabilità monetaria, di efficienza».

Ma la realtà è un’altra: nell’Italia del 1982 vengono allegramente «introdotti sistemi di intervento pubblico che comportano nel presente, e ancor più nel futuro, spese incompatibili con le più ottimistiche previsioni di promettendo la distribuzione di un reddito non prodotto e non producibile in tempi brevi».

L’andamento del rapporto deficit/PIL. Dati in percentuale dal 1960 al 2000 (Fonte: Bankitalia)

Il debito salì fino al 124% del 1994.

L’Euro e i primi anni 2000

Nella seconda metà degli anni ’90, c’è un’inversione di tendenza. La forte riduzione dei tassi d’interesse americani, la nostra adesione al trattato di Maastricht e la conseguente volontà dei governi dell’epoca di raggiungere l’obiettivo di ingresso nella moneta unica, determinarono nel 2001 la discesa del debito al 109% del PIL. Nei primi anni dell’Euro, beneficiando della forza della moneta unica e quindi di tassi più bassi da pagare sul debito, il rapporto scese fino al 103% del 2007.

Dalla crisi del 2008 a prima della pandemia da COVID-19

Arriviamo a tempi più recenti: dalla crisi finanziaria del 2008, passando per la crisi del debito del 2011, si inverte nuovamente l’andamento del rapporto debito/PIL, che riprende a salire (117% nel 2009 – 127% nel 2012), fino ad arrivare al 134% di fine 2018. In questi anni il problema non sono stati i tassi (tranne la parentesi del 2011), ma la mancata ripresa dell’economia dopo la recessione del 2008, molto minore rispetto a quella di tutti gli altri paesi. Le cause: mancate riforme? Il fardello del debito che frena le possibilità per lo Stato di stimolare come si dovrebbe la crescita economica? L’instabilità politica endemica del nostro Paese? Forse tutto questo ha contribuito…. Ma soprattutto: e ora? Cosa sta succedendo al debito italiano in questo periodo di pandemia da COVID-19? (continua)

Fonti e approfondimenti

“Il debito pubblico italiano dall’Unità a oggi” – Occasional Papers n.31 – Banca d’Italia

Allegati

PIL, debito e rapporto debito/PIL dal 2000 al 2013
Il rapporto debito/PIL dall’Unità d’Italia
L’evoluzione del rapporto debito/PIL dagli anni ’70

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